KONRAD KLAPHECK

Dapprima con le macchine, e in seguito con le figure umane, Klapheck, artista-scrittore, narra del mondo con ironia e passione, costruendo una costellazione di opere che come astri illuminano il percorso lungo cui si dipana la sua poetica.

Inizia a dipingere ventenne, raffigurando oggetti della sua quotidianità, macchine da scrivere e da cucire, che vengono lentamente rielaborate fino ad assumere caratteristiche umane. Con lo scorrere degli anni il pantheon dei soggetti aumenta, arrivando a comprendere una decina di Macchine che, calate in differenti ruoli e impreziosite da una gamma di colori vibranti che ricordano le opere classiche, reinterpretano la realtà. Le tele sono il mezzo con cui l’artista riscopre se stesso, in un processo che assume tratti psicanalitici e di riscoperta dell’Io, i cui risultati finali stupiscono lo stesso creatore (in un parallelo con il mito di Pigmalione).

A partire dagli anni Novanta il dizionario di Klapheck acquisisce nuova vitalità grazie alle figure umane inserite in scorci di scene dalle caratteristiche teatrali, in cui l’artista può mettere a frutto le lunghe ore parigine di disegno dal vero alla Académie de la Grande Chaumière, ore di serenità e coinvolgimento.
Indubbiamente le immagini affascinano anche per il loro ermetismo, retaggio del periodo trascorso con gli artisti surrealisti della cerchia di André Breton, con i quali ha sempre sentito grande affinità di ideali.

Dipingere è una necessità, e in quanto tale comporta gioie e dolori: l’attività dell’artista, strutturata in tutte le sue componenti fisiche e mentali, appare come un atto di amore, svolto con dedizione ed impegno. Le tele diventano il luogo per lo sconvolgente incontro con il passato ed il presente: qui Klapheck sperimenta nuovamente sentimenti della sua giovinezza, o riscopre il mondo a lui contemporaneo; è il campo dove ritrovare i cari affetti, rivivere gli amori, elaborare i lutti o denunciare i comportamenti della società, servendosi sempre di ironia ed umanità.

L’umorismo che caratterizza l’artista vibra alla base di ogni sua tela: Klapheck usa i manufatti frutto dell’evoluzione tecnica per creare personaggi teatrali, tipi e maschere con cui il mito del progresso si rivela in tutta la sua umanità. Le macchine ci sono familiari, sembrano quelle che tutti noi abbiamo visto ed usato, ma abbiamo difficoltà a collocarle nello spettro delle nostre esperienze (anche perché ci sono mostrate con magnificenza e monumentalizzazione). L’artista ci pone di fronte ad un mondo che assomiglia al nostro, ma nel quale ci mancano le coordinate per orientarci; spesso i titoli sono la bussola, qualche volta lo sono i disegni preparatori ed altre volte la conoscenza delle sue esperienze biografiche.

I soggetti sono sogni, ricordi e altro ancora, raccolti con dedizione nel corso degli anni: Klapheck è esempio lampante di amore per la vita; è uno slancio forte e inarrestabile, nutrimento inesauribile per l’artista che afferma “i miei quadri contengono tutto quello che potrei dire sull’amore.”